C’è una enorme questione bioetica che va affrontata nello sport per garantire l’equità delle competizioni, senza cedere a dogmi di parificazione di genere che se portati all’estremo possono produrre iniquità.Carini e Khelif sono, in modo diverso, rimaste stritolate in una guerra di potere tra Cio e Iba, la Federazione internazionale con sede in Russia estromessa dal Comitato olimpico internazionale, al punto da sospendere per ora la boxe dai Giochi 2028, in attesa di creare una nuova organizzazione sotto la propria egida.
Una lotta di potere che finisce per delegittimare anche l’informazione (ovviamente quella non asservita) inondandola delle classiche notizie false e tendenziose, mettendo a repentaglio in definitiva la libertà di tutti.Khelif all’inizio della vicenda è stata definita transgender quando non lo è. La necessità di stare sul pezzo seguendo i trend spesso induce in errore i media, che invece devono lavorare meticolosamente per fornire sempre dati certi e oggettivi ai lettori.
Per il Cio Khelif rispetta i criteri per l’ammissione alle competizioni femminili delle Olimpiadi, che sono stati gli stessi fin da Tokyo 2021 e per tutte le fasi di qualificazione a Parigi 2024. Il CIO dice di aver visto circolare «informazioni ingannevoli» su Khelif e un’altra pugile che era stata esclusa insieme a lei ai Mondiali del 2023, la taiwanese Lin Yu-tin.
Il Sole 24 Ore