Ci risiamo: le recenti dichiarazioni di Aurelio De Laurentiis a proposito della vendita del Napoli, hanno fatto riemergere nella piazza barese i soliti dilemmi legati alla multiproprietà. Partenopei di cui il numero uno della Filmauro mai vorrebbe disfarsi, per questioni di cuore ma anche economiche.
Così tra paure ed incertezze i tifosi si interrogano, ancora una volta. Si confida molto sulle capacità imprenditoriali dei DeLa, ma a Bari molto difficilmente si accetterebbe l'idea di non poter andare oltre la Serie B. La premessa è doverosa: il lavoro sin qui svolto resta positivo, l'organizzazione societaria e di marketing è notevole, il ritorno tra i cadetti può essere possibile già tra alcune settimane se tutto dovesse filare liscio nella lotteria dei playoff. E circa due anni fa, gli obiettivi sbandierati furono altrettanto chiari: "Portare la piazza pugliese dove merita, in Serie A". Ciò è ovviamente possibile, perché nulla impedirebbe una volta in B di lottare per la promozione e poi raggiungere effettivamente la A. Ma poi, cosa accadrebbe? Le regole attuali dicono che non è possibile avere due squadre nella stessa categoria. E che in vista della successiva stagione ci sarebbero massimo 90 giorni di tempo per poterne vendere una. E' inevitabile: prima o poi una scelta andrà fatta. Sempre che nel frattempo le stesse norme di cui sopra non cambino favorevolmente...
Al netto delle dichiarazioni ufficiali dei diretti interessati, il calcio resta comunque la miniera dell'imprevedibilità. Mai dire mai, insomma. Rassicuranti in tal senso sono inoltre le parole rilasciate a 'La Gazzetta del Mezzogiorno' dal noto collega de Il Sole 24 Ore Marco Bellinazzo: "I De Laurentiis sono imprenditori illuminati ed hanno intuito le potenzialità di una piazza appassionata come Bari. L’obiettivo finale non può essere diverso dalla serie A che frutterebbe solo di diritti televisivi una somma non inferiore ai 35 milioni, ai quali vanno aggiunti proventi da botteghino certamente alti, così come le sponsorizzazioni. Confinare il Bari in B, invece, significherebbe perdere setto-otto milioni all’anno: non sarebbe un affare conveniente". Impossibile non essere d'accordo soprattutto sull'ultimo pensiero: i consensi sin qui acquisiti non tarderebbero a sparire, cosi come il pubblico dagli spalti del 'San Nicola', come ai tempi dell'ultimo Matarrese. E le perdite in cadetteria, malgrado i soldi (pochini) dei diritti tv l'hanno dimostrato in questi anni. E ancora: "Il Bari possiede già una struttura che, in caso di promozione in B, possa puntare al doppio salto. Con l’indotto che si ritrova, il club biancorosso proiettato verso la A varrebbe non meno di 70-80 milioni e, considerando un investimento di 20-25 milioni complessivi per la scalata dalla D al massimo campionato, svilupperebbe un’eventuale plusvalenza decisamente conveniente". Insomma, le opportunità potenzialmente ci sarebbero e andranno colte, con buona pace di tutti.
Un precedente simile e lieto - a proposito di club ricostruiti e poi venduti - c'è e si chiama Catania. Tralasciando per un attimo le attuali difficoltà degli etnei (che, tra scandali vari, insuccessi sportivi e politiche gestionali infruttuose si sono fatti del male da soli), a tutti è noto quanto accaduto nel 2004: Pulvirenti vendette l'Acireale e si aggiudicò il club rosso-azzurro, rilevandolo dai Gaucci (che di multiproprietà se ne intendevano, molto prima di Lotito e ADL). I risultati furono immediati: Serie A in due anni, 8 anni di fila nell'olimpo del calcio italiano, una semifinale di Coppa Italia, una qualificazione sfiorata in Europa League ed anche la costruzione del centro sportivo di Torre del Grifo (che a Bari non è mai esistito).
Fatta questa disamina, quello che ora conta maggiormente è il presente: uscire dalle sabbie mobili della C il prima possibile deve essere un imperativo per tanti, troppi motivi. Questione di stimoli ma anche di economia: è una tappa fondamentale per poter pensare concretamente al futuro. L'obiettivo via playoff è alla portata, vietato sbagliare. Per il resto si vedrà.
Così tra paure ed incertezze i tifosi si interrogano, ancora una volta. Si confida molto sulle capacità imprenditoriali dei DeLa, ma a Bari molto difficilmente si accetterebbe l'idea di non poter andare oltre la Serie B. La premessa è doverosa: il lavoro sin qui svolto resta positivo, l'organizzazione societaria e di marketing è notevole, il ritorno tra i cadetti può essere possibile già tra alcune settimane se tutto dovesse filare liscio nella lotteria dei playoff. E circa due anni fa, gli obiettivi sbandierati furono altrettanto chiari: "Portare la piazza pugliese dove merita, in Serie A". Ciò è ovviamente possibile, perché nulla impedirebbe una volta in B di lottare per la promozione e poi raggiungere effettivamente la A. Ma poi, cosa accadrebbe? Le regole attuali dicono che non è possibile avere due squadre nella stessa categoria. E che in vista della successiva stagione ci sarebbero massimo 90 giorni di tempo per poterne vendere una. E' inevitabile: prima o poi una scelta andrà fatta. Sempre che nel frattempo le stesse norme di cui sopra non cambino favorevolmente...
Al netto delle dichiarazioni ufficiali dei diretti interessati, il calcio resta comunque la miniera dell'imprevedibilità. Mai dire mai, insomma. Rassicuranti in tal senso sono inoltre le parole rilasciate a 'La Gazzetta del Mezzogiorno' dal noto collega de Il Sole 24 Ore Marco Bellinazzo: "I De Laurentiis sono imprenditori illuminati ed hanno intuito le potenzialità di una piazza appassionata come Bari. L’obiettivo finale non può essere diverso dalla serie A che frutterebbe solo di diritti televisivi una somma non inferiore ai 35 milioni, ai quali vanno aggiunti proventi da botteghino certamente alti, così come le sponsorizzazioni. Confinare il Bari in B, invece, significherebbe perdere setto-otto milioni all’anno: non sarebbe un affare conveniente". Impossibile non essere d'accordo soprattutto sull'ultimo pensiero: i consensi sin qui acquisiti non tarderebbero a sparire, cosi come il pubblico dagli spalti del 'San Nicola', come ai tempi dell'ultimo Matarrese. E le perdite in cadetteria, malgrado i soldi (pochini) dei diritti tv l'hanno dimostrato in questi anni. E ancora: "Il Bari possiede già una struttura che, in caso di promozione in B, possa puntare al doppio salto. Con l’indotto che si ritrova, il club biancorosso proiettato verso la A varrebbe non meno di 70-80 milioni e, considerando un investimento di 20-25 milioni complessivi per la scalata dalla D al massimo campionato, svilupperebbe un’eventuale plusvalenza decisamente conveniente". Insomma, le opportunità potenzialmente ci sarebbero e andranno colte, con buona pace di tutti.
Un precedente simile e lieto - a proposito di club ricostruiti e poi venduti - c'è e si chiama Catania. Tralasciando per un attimo le attuali difficoltà degli etnei (che, tra scandali vari, insuccessi sportivi e politiche gestionali infruttuose si sono fatti del male da soli), a tutti è noto quanto accaduto nel 2004: Pulvirenti vendette l'Acireale e si aggiudicò il club rosso-azzurro, rilevandolo dai Gaucci (che di multiproprietà se ne intendevano, molto prima di Lotito e ADL). I risultati furono immediati: Serie A in due anni, 8 anni di fila nell'olimpo del calcio italiano, una semifinale di Coppa Italia, una qualificazione sfiorata in Europa League ed anche la costruzione del centro sportivo di Torre del Grifo (che a Bari non è mai esistito).
Fatta questa disamina, quello che ora conta maggiormente è il presente: uscire dalle sabbie mobili della C il prima possibile deve essere un imperativo per tanti, troppi motivi. Questione di stimoli ma anche di economia: è una tappa fondamentale per poter pensare concretamente al futuro. L'obiettivo via playoff è alla portata, vietato sbagliare. Per il resto si vedrà.